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venerdì 28 gennaio 2011

Marchionne, altro che uomo dell'anno. Ecco perché ha fallito tutti gli obiettivi

Egregio dott. Sergio Marchionne,
se c’è una cosa che accomuna (quasi) integralmente l’opinione pubblica italiana, è la sua osannazione. Salvo rare voci isolate (per giunta strumentali), non vi è opinionista che non La indichi come simbolo della migliore classe dirigente italiana. L’ex maggior quotidiano economico italiano (del quale per mia sfortuna sono azionista) l’ha eretto a uomo dell’anno. Lei, oramai affetto da un totale delirio di onnipotenza, si permette (perché in un Paese di invertebrati, chi ha un po’ di sale nella zucca è condannato ad emergere) di proporre e far accettare unilateralmente il suo dogma.
Forse per ignoranza della storia industriale, probabilmente per il basso profilo che contraddistingue l’attuale classe dirigente, sicuramente per la predisposizione al servilismo che accomuna l’intellighenzia italiana, nessuno ha il coraggio di dire e contestare ad alta voce la verità: sul piano commerciale la Fiat auto dell’era Marchionne ha miseramente fallito e su quello industriale ha commesso innumerevoli errori.
L’8 e 9 novembre  2006 veniva presentato in pompa magna il “Fiat Investitor & Analyst Day” (uno degli innumerevoli dell’era Marchionne che puntualmente disattendeva i precedenti e sarà smentito dai successivi).  Tutti gli obiettivi del piano al 2010 sono stati mancati:
tabella sole 24 ore

Qualcuno potrebbe imputare tali risultati deludenti agli strascichi della crisi globale, invece tutte le altre case nel 2010 hanno macinato record su record: gli ultimi sono stati il marchio Volkswagen che ha venduto 4,5 milioni di auto ed il gruppo Psa con 3,6 milioni di vetture vendute (+13% sul 2009).
A differenza di quello che si crede, il rilancio di Fiat e di Exor (ex Ifi-Ifil) dell’era Marchionne non è arrivato dalla gestione industriale, bensì dalle operazioni finanziarie “risoluzione Put option Gm” (1,5 miliardi di euro), cessione quota “Italenergia” (1,1 miliardi, plusvalenza 0,8 miliardi) , “convertendo” (3 miliardi di euro di debiti convertiti in capitale), “equiti swap”, la quota della news Chrysler che la Fiat ha pagato e pagherà zero (il 20+15% potrebbero valere anche 7 miliardi di euro), spin-off, ecc...
Tranne poche rare eccezioni, la Sua Fiat non ha dato alla luce successi commerciali: il flop di Brera e Spider, le vendite della Delta al lumicino, il declino della Bravo, il fiasco del restiling Croma. Oggi il grosso delle (poche) vendite del gruppo proviene da progetti preesistenti (Grande Punto e Panda) oppure voluti da altri (la 500 di Lapo Elkann).
La leggenda dell’uomo decisionista (pare che abbia detto che le decisioni vadano prese alla velocità della luce), in realtà nasconde l’arroganza di voler essere libero a continui ripensamenti (come la vettura segmento C dell’Alfa che poco prima del lancio cambia nome da Milano a Giulietta); atteggiamento che ha fatto perdere al gruppo i migliori uomini (fra cui Luca De Meo). Decine di manager licenziati oppure spostati da un incarico ad un altro hanno fatto trovare più volte l’organizzazione nel caos.
La totale confusione nella quale ha navigato il piano prodotti negli ultimi 6 anni:
Lancia: suv inizialmente previsto per il 2006 su base Fiat Sedici è stato prima rimandato, poi cassato ed infine ricomparso (forse) su base Chrysler; del “modello di nicchia” (i rumors parlavano della Fulvia) previsto per il lontano 2007 non se ne è saputo più nulla, la news Ypsilon rimandata più volte. Alla fine è arrivata la grande idea di ricarrozzare tutte le Chrysler con il logo Lancia (che destino inglorioso ed irrispettoso della storia del marchio);
Alfa Romeo: lei si chiede spesso perché vende poco, io noto che l’intero marchio ha una gamma pari alle varianti di un solo modello Audi o Bmw; l’erede del segmento C prevista nel 2007 ed uscita solo 36 mesi dopo; il top di Gamma annunciato per il 2008 e continuamente procrastinato; inizialmente era previsto in un solo Suv, dopo si è detto nessuno, ora pare addirittura due.
L’incomprensibile errore commerciale di annunciare con largo anticipo l’uscita di modelli: infatti perché un acquirente, che tiene al valore della sua auto, dovrebbe acquistare un’Alfa 159? Il deludente andamento delle vendite nei nuovi mercati russo, cinese ed indiano.
Per gli stabilimenti di Pomigliano e Termini Imprese, dietro i proclami della loro bassa produttività, si nasconde il preordinato affossamento della produzione del primo (come mai, nel suo assioma di non lasciare così com’è un modello sul mercato per più di 2 anni, dopo tanto tempo dal lancio, non è stato effettuato alcuna rinfrescata stilistica alla 159 e al GT?) e della chiusura del secondo (premesso che nello stabilimento siciliano si produceva ancora su pianale “Punto Classic” solo la “Ypsilon” e acclarato che l’erede sarebbe stata prodotta – era già chiaro nel 2005 - su pianale Panda-500–Tychy-Polonia, a quale stabilimento poteva essere mai essere assegnata?).
Il grossolano errore di non aver investito nei Crossover e Suv, benché fosse evidente anche all’ultimo venditore di auto usate del globo che il mercato premium andasse in tale direzione.
A proposito di Suv, gira voce che all’Elasis di Pomigliano, il centro ricerca di eccellenza Fiat, abbiano impegnato tanta parte del loro tempo (e soldi pubblici) per testare il Suv Alfa “Kamal”, salvo abbandonare il progetto perché i volumi presunti di vendita non avrebbero ripagato i costi di industrializzazione. 
Sia ben chiaro che tutte le sua posizioni sulla produttività degli impianti sono più che condivisibili, ma il punto non è questo. Gli utili si possono fare in due modi: alzando i ricavi oppure comprimendo i costi (o meglio un mix dei due). La sua Fiat pare sia in grado di agire solo sul secondo aspetto. In altri termini non riuscendo a convincere i consumatori a comprare auto del gruppo, sta scaricando il problema su fornitori e dipendenti.
Giovanni Esposito

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