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giovedì 10 febbraio 2011

Il sexgate mira a fermare Tremonti più che Berlusconi!

Durante l'Ecofin del 18 gennaio, il Ministro dell'Economia Giulio Tremonti ha affermato: “In sostanza va affermandosi la tesi (avanzata dall'Italia) che in molti casi è la "criticità" del settore finanziario ad aver determinato la crisi dei debiti sovrani di alcuni paesi, Grecia e Irlanda in testa”. Tremonti ancora una volta mette sotto accusa il sistema finanziario e le banche, ponendo l'accento sul fatto che non si possa agire sul debito pubblico – ciò significando tagli alla spesa sanitaria, all'istruzione, allo sviluppo infrastrutturale, alla sicurezza – senza parallelamente procedere ad una riforma del sistema finanziario. Invero, egli sottolinea che un paese come l'Irlanda non aveva un problema di debito pubblico, ma che questo è emerso soltanto in seguito ai salvataggi delle banche. E tutto questo lo ha potuto dire dall'alto di una posizione politicamente e moralmente privilegiata: l'Italia non ha dovuto praticare salvataggi delle banche nazionali, ed ha gestito la crisi mantenendo la spesa pubblica annuale, in rapporto al p.i.l., a livelli molto più contenuti rispetto agli altri stati europei e transatlantici. Ma quella che può essere considerata una posizione fuori dal coro, fuori dall'ortodossia politico-economica globale, caratterizzandosi, per la sua unicità, come quella dotata di maggior coraggio e leadership tra tutti i paesi del G8 e dell'Unione Europea da almeno il 2008 (già nei mesi prima che scoppiasse con tutta la sua violenza la più grave crisi economico-finanziaria dal 1929), è stata sistematicamente minata dalla credibilità che il Governo Berlusconi andava perdendo a causa di uno stillicidio di inchieste a base di scandali sessuali che hanno riguardato in primis il premier italiano.
Nel pieno dell'accelerazione della crisi finanziaria – evidente se si guarda all'iperinflazione che riguarda le materie prime – , l'Italia potrebbe giocare un ruolo primario, perchè la leadership mostrata da Tremonti troverebbe ulteriore forza in altre iniziative italiane che vanno nella giusta direzione: la proposta dell'ex Ministro dell'industria, prof. Paolo Savona, di uscita dall'euro, e le molteplici risoluzioni per la riforma del sistema finanziario internazionale approvate negli ultimi anni dal Parlamento italiano con maggioranze trasversali (cose per cui il movimento di LaRouche ha giocato un ruolo determinante). Questo, nonostante quella forma di compromesso con il sistema monetarista, che sono gli Eurobond di Tremonti; infatti, ciò di cui abbiamo bisogno è la ben più radicale rottura con il sistema monetarista ed il passaggio a sistemi creditizi nazionali, in quanto solo attraverso il credito sovrano potremo avere il ritorno della primazia della politica sui poteri finanziari ed il rilancio dell'economia reale. Infatti, a tal proposito, si può rilevare un grande paradosso: per via del ricatto della finanza internazionale contro ogni Paese (Italia compresa), che minaccia di scatenare la speculazione contro i titoli di stato in qualsiasi momento, Tremonti si trova costretto a continuare la politica del “Patto di stabilità” europeo, imposta proprio da chi vorrebbe contrastare.
La crisi, in particolare, va maturando su due fronti dove l'Italia, più di altri, potrebbe e dovrebbe essere punto di riferimento per la risoluzione degli stessi: la crisi dell'euro (Grecia, Irlanda, la criticità della situazione di Portogallo e Spagna) e quella dell'area sud-mediterranea e medio-orientale (Tunisia, Algeria, Egitto, Marocco, Libano, Libia, Giordania, Yemen). All'interno dell'Eurosistema, l'Italia è promotrice di una riforma del patto di stabilità, con la mira di allentare il cappio rappresentato dai debiti pubblici, conscia che senza la possibilità di effettuare investimenti infrastrutturali e senza sostenere il welfare, non sia possibile assistere ad alcun rilancio dell'economia reale. Parallelamente, a livello extra-europeo, essa denuncia e propone la necessità di riformare l'intero sistema finanziario internazionale per sottoporre a rigidi controlli la speculazione. In merito all'area sud-mediterranea, l'Italia è il primo partner commerciale del Libano, il secondo partner commerciale di Tunisia, Algeria ed Egitto, e il terzo partner del Marocco, mentre per la Giordania è il secondo partner dell'Unione Europea. Da tutto ciò ben si comprende l'interesse che l'Italia ha per questa area e cosa possa voler dire, per interessi antagonisti, avere un'Italia completamente destabilizzata e concentrata – sia nella sua classe dirigente che nella sua opinione pubblica – su scandali che quanto meno hanno un rilievo secondario rispetto ad interessi geo-strategici ed economici.
D'altra parte, quando il 7 febbraio 1992, venne firmato il Trattato di Maastricht, appena dieci giorno dopo, l'allora pubblico ministero Antonio Di Pietro, chiese ed ottenne un ordine di cattura per l'ingegner Mario Chiesa, dando così avvio alla stagione di Tangentopoli. Quello che sicuramente è il più importante accordo internazionale del dopoguerra firmato dall'Italia, con conseguenze che di fatto l'hanno privata di una reale sovranità economica, sottoponendola agli asfissianti parametri del patto di stabilità, avvenne a Camere sciolte, con un Governo in prorogatio, e con un dibattito limitato dal caos di un'inchiesta giudiziaria che ha avuto evidenti obiettivi politici. Fra l'altro, il Governo cadde e le Camere furono sciolte in una situazione piuttosto strana, il 2 febbraio 1992 (dunque appena cinque giorni prima di quella importantissima firma). Il Corriere della Sera definì la procedura di scioglimento “se non proprio anomala, almeno inconsueta”, ed il Presidente della Repubblica, Francesco Cossiga – che fu l'unico grande dirigente DC a non esser coinvolto dalla stagione di Mani Pulite – la giustificò con queste ambigue parole: “Ho sciolto le Camere prima della scadenza perchè non funzionavano e toglievano legittimità alle istituzioni... Credo giunto il momento magico per rinnovare anche moralmente il nostro sistema politico, per rifondare la Repubblica con un nuovo patto nazionale”.
Questo riferimento non deve esser considerato inappropriato, perchè ciò che sta avvenendo oggi in Italia è da considerarsi la prosecuzione di quella stagione di interdizione della sovranità politico-economica nazionale, che senza un intervento pesante della magistratura contro l'allora classe dirigente, non sarebbe mai cominciata. Oggi, il baluardo che l'Italia ha contro la prosecuzione di quella stagione è rappresentato in primo luogo da Tremonti, ed il modo più facile per abbatterlo è colpire quelle che rischiano di rivelarsi assolute debolezze in Silvio Berlusconi. Ma il pericolo che Tremonti rappresenta per l'oligarchia finanziaria, come già detto, non è limitabile alla sola Italia, ma può avere risvolti a livello internazionale.
D'altra parte, le rivolte che stanno avendosi nell'area sud-mediterranea e medio-orientale, lungi dall'essere la mera protesta contro modelli politico-economici tipici di quell'area, sono la conseguenza dei disagi economici procurati da sistemi dispotici creatisi sotto il condizionamento degli epigoni della globalizzazione finanziaria. La profonda crisi economica e sociale è il prodotto della politica liberista imposta dal FMI e dall'Unione Europea. Già privi della sicurezza alimentare, questi paesi sono stati colpiti duramente dall'aumento dei prezzi delle merci a partire dal 2007, e che ora ha riaccelerato a livelli superiori a quelli delle rivolte del 2008. Nel caso della Tunisia (ma anche dell'Egitto e del Marocco) la collusione è evidente. Oltre vent'anni di cooperazione tra Tunisi e Banca Mondiale e FMI ha portato ad un'alta disoccupazione, anche tra le fasce più istruite. Un rapporto della Banca Mondiale nota che il numero dei giovani laureati disoccupati è quasi triplicato in 10 anni, da 121.800 nel 1996-97 a 336.000 nel 2006-2007. Spinto dalle istituzioni internazionali, dall'UE e dalla Francia, il governo ha realizzato “riforme” come la privatizzazione delle infrastrutture e delle industrie (compresi i porti, le acciaierie e le imprese minerarie), l'eliminazione dei dazi, la liberalizzazione delle esportazioni, la svalutazione della moneta, l'apertura del mercato del lavoro alle imprese estere che impiegano la forza lavoro tunisina a salari bassi, per produrre parti di ricambio per automobili e articoli di abbigliamento. La Tunisia è stato il primo paese nordafricano a stipulare l'accordo di libero scambio con l'UE (1995) che ha permesso l'applicazione radicale di queste politiche liberiste.
E' altresì da considerare che la destabilizzazione interna che sta subendo la politica italiana, attraverso gli attacchi al Popolo della Libertà nella figura di Berlusconi, ha già interessato il Partito democratico nella sua ala dalemiana, colpita anch'essa da una serie di inchieste che hanno depotenziato fortemente il partito. Il PD, infatti, è stato reso privo della leadership che avrebbe potuto avere, ed alla mercè di continue derive demagogiche e giacobine non funzionali all'interesse nazionale.
In questa situazione la politica italiana deve stare attenta a non farsi tirare dentro alla complessiva strategia di caos che coinvolge l'Italia, e piuttosto essere capace di anteporre l'interesse per una autentica riforma del sistema finanziario internazionale, dell'Eurosistema, e per lo sviluppo delle aree più povere del pianeta. In questa ottica: una nuova Bretton Woods; la proposta del prof. Savona per la fuoriuscita dall'euro; e la “rivoluzione azzurra” per il Nord-Africa, capace di dare acqua ed infrastrutture di base, possono e devono essere i programmi cardine di una politica che voglia ritrovare la dignità di tornare a governare gli Stati, piuttosto che esserne costantemente uno dei tanti elementi condizionati dagli interessi finanziari.

Claudio Giudici

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